Made in Japan (1972, EMI - Purple Records) ……….. Amo i dischi Live ….. meglio …… li ho amati in quanto per molto tempo oggetto di una forsennata ricerca di qualcosa o qualcuno che nella Storia del Rock potesse essere capace di fare quello che c’è dentro e che si può udire dentro questo disco …… ed ovviamente che potesse essere capace di donare le emozioni che da oltre un quarto di secolo questo disco sa e continua a donarmi …. entusiasmo … voglia di gridare, di suonare una chitarra e di aprire i tormenti, i mali i dolori, i dubbi, le paure e i desideri più intimi della tua anima …. di alzare le braccia al cielo … voglia di spremersi lungo un’autostrada alla ricerca di qualcosa, di qualcuno di un’oasi, del cucuzzolo di una montagna, di un banco di un bar che ti sappia donare il calore che la tua stessa camera da letto ti ha fin da piccolo donato …. la ricerca di Avalon … forse ….. emozioni che per qualcuno (anche di questo sito) possono essere solo adolescenziali, ma che personalmente ritengo preziosissime sempre e … sempre sintomo di una malattia di cui sono mortalmente infettato …. una sindrome terribile ed incurabile che mi accompagnerà fino alla mia morte, una sindrome che è anche una benedizione …. quella del Rock ‘n Roll Un malattia di cui Made In Japan è stata la causa prima … il secondo disco rock che abbia mai sentito a dire il vero … ma che per me è e sarà sempre il primo … semplicemente il nucleo duro (Hard …) del mio cuore e della mia anima musicale …… … ma in questa valutazione sono in buona compagnia, visto che per coloro che “sanno” di Rock, che sanno capire e distinguere e non omologare impropriamente (questo NON E’ HEAVY METAL!!) questo disco è – semplicemente -- il più grande album dal vivo della Storia del Rock, un esempio insuperato, un modello cui poi tutti hanno tentato di riferirsi …… non c’è Live At Leeds (The Who), non c’è The Song Remains The Same (Led Zeppelin) non c’è Metallic K.O. (The Stooges), non c’è Kick Out The Jams (MC5) che tengano di fronte a quello che fecero in tre serate d’estate del 1972 (ma anche prima ad onor del vero) questi cinque scatenati rockers inglesi, al culmine della loro creatività e del loro entusiasmo -- con già un pizzico di manierismo e l’allargamento inarrestabile di sottili crepe interelazionali destinate a spuntare dietro l’angolo un mese e mezzo dopo – che si spremono in un tour de force musicale fatto di lacrime, sudore, sangue, feeling, intensità, passione, contaminazioni musicali, tecnica musicale stellare, violenza, energia e classe.
Un Tour De Force assolutamente unico e totale.
Badate bene …. i termini di paragone che ho fatto sopra sono tra i più nobili (e da me ultra amati) dell’intera Storia del Rock, e condividono e vivono il mio cuore … ma Made In Japan è diverso …. è speciale …. è quel classico disco che senti subito come abbia quel qualcosa in più …. la marcia in più … c’ha il tiro … e c’è quel particolare spirito di una band che in qualche modo si sta bruciando il nucleo duro delle proprie riserve di energia in una sorta di atto di devozione alla loro creatività, alla loro energia ed alla loro magica formula …. così come nel loro altro capolavoro “In Rock” (1969-1970) la band si giocò il tutto per tutto per non morire in un’esplosione sonora assolutamente inimicata, così in questo Live i Deep Purple celebrano l’apoteosi di quello che sapevano fare, fottuto duro, senza compromessi, Hard Rock, mai staticamente monolitico ma aperto alla loro creatività e gusto e feeling che variava di notte in notte.
Un approccio progressivo senza assolutamente essere Progressive né prendere i tipici difetti del Progressive Rock, anche quando dilatavano i pezzi come Space Truckin’ in lunghissime jam psichedelico-rumoriste, che avrebbero fatto l’invidia della Experience o dei Doors o dei Quicksilver Messenger Service … e soprattutto il reinventare in maniera nuova i pezzi dai dischi in studio che assumono in questo contesto una dimensione totalmente nuova …..sono pezzi nuovi … guadagnano in tutto e per tutto e diventano ad uno sguardo distaccato quasi la “summa teologica” di tutto quanto di buono vi è stato nel Grande Rock Classico pre-Tempesta Punk.
Ed eccoMi quindi ancora qua adesso a quasi 35 anni da quei concerti ed a 26 anni da quel Sabato Pomeriggio in cui ascoltai per la prima volta questo doppio … a ritrovarmi on gli stessi brividi nella pelle ….. la stessa tensione quando ancora una volta penso ed ascolto Highway Star (l’opener perfetta di un concerto Rock per Me) …. i musicisti che trasformano le risonanze per accordarsi nell’inizio del pezzo ….. il ritmo che accelera …… la batteria che inizia a pestare veloce e dinamicissima, poi la voce forte intensa onestamente pura di Ian Gillan … “This song’s called Highway Star ….. yeaaahhhhssss!!!” .. .e poi l’elettricità pura della Fender Stratocaster di Ritchie Blackmore che taglia l’aria e fa scoppiare il pezzo …. e da lì ancora oggi è un turbinio di emozioni ….. gli assoli velocissimi, intensi, pieni di anima e di follia acidamente post-hendrixiana … con una spruzzata di classicismo bachiano ….. l’intensità di Child In Time con le vette che la voce di Gillan riesce a raggiungere e poi l’assolo di chitarra così intenso, virtuosistico, entusiasmante, tirato dalle punte jazzate “ ‘a la Mahavishnu” ma mai fine a se stesso, Smoke On The Water … il riff per eccellenza del Rock (più di Satisfaction o di I Wanna Be Your Dog o di Jumpin’ Jack Flash o Substitute) …. così sputtanato nel suo essere continuamente suonato milioni di volte al giorno …. ma così esaltante nella sua elettricità in quella magica serata di Osaka ….. la tribalità ritmica dietro i sapori post-hendrixiani di The Mule ….. la coinvolgente ritmica di Strange Kind Of Woman con il suo swing da jam session e l’immortale duello voce chitarra ….. per poi proseguire con la jazzatissima (con citazione brevissima ma totale di Duke Ellington) Lazy in cui è il rincorrersi tra organo e chitarra che la fa da protagonista ……la già citata Space Truckin’ ……. e (grazie ai remasters recenti) la cavalcata allucinata di Black Night …. una Speed King violentissima e quasi proto-punk nella sua irruenza ed urgenza …. per finire con una sconvolgente cover di Lucille di Little Richard …. si perché mai questa band ha trasceso la sua natura di essere una fucking Rock ‘n Roll band … ed il Rock ‘n Roll è soprattutto emozione …. e questa esce da tutte le note che suonarono 35 anni fa ….. e questa mi sprizza dai pori ogni volta che l’ascolto …. dovrei sentirmi vecchio …. dovrei sentirmi stanco …. eppure con Made In Japan non è così ….. lo sento e come i brividi che dà la pioggia che batte sul tuo corpo Mi sento di nuovo di avere 35, 30 … 20 anni ……… mi sento vivo e rinato!!…… grazie Ritchie Blackmore, grazie Ian Gillan, grazie Roger Glover, grazie Jon Lord, grazie Ian Paice …. grazie di avermi acceso l’anima …. e grazie a LaRoma che ebbe l’insana (ma sacrosanta) idea di darmi questo disco da ascoltare ….. mi ricordo ancora le parole … “senti questo …. è più secco piu forte ….. è fortissimo … meglio dei Van Halen” …… già … Grazie Roma …..
ROCK ON
(The Lawyer, 29/03/2007)