
Il fondo del pozzo, la discesa all’inferno.
Registrato quasi interamente in presa diretta in un garage, fa parte della “doom trilogy” (con “Time fades away” e “On the beach”) che seguì il clamoroso successo di “Harvest”.
Sconvolto per la morte del chitarrista Danny Whitten e del roadie Bruce Berry per overdose, il divorzio e la scoperta della malattia del figlio, Young inizia la caduta libera nel pozzo in fondo al quale lo aspettano i suoi demoni. Disco pieno di disperazione e alcool, in cui spesso canta ubriaco, stonato, canzoni oscure e ruvide, testi di droga e di morte, ma che ci offrono cò che ogni artista ha di più prezioso: i propri dubbi, le proprie debolezze, le imperfezioni, la propria anima sconvolta.
A volte la grande musica non deve necessariamente essere bella musica, qui la voce è sgraziata, sembra quasi sul punto di spezzarsi, il suono nervoso, nessuna post-produzione o arrangiamento eppure pochi dischi al mondo riescono così tanto a commuovere, a toccare le corde più profonde perché pochi si sono spinti così al limite da aprire la propria anima e metterla su un disco.Un disco necessario, in bianco e nero come la copertina, l’autobiografia di un momento, lo specchiarsi nudo e vedersi circondato da spettri e fantasmi, ma sopratutto un disco sincero, straziante, commovente.
“Sono stato per la strada e sono tornato/fischiettando solitario lungo i binari della ferrovia/non è rimasto nulla di ciò che provavo/c’è qualcosa che è difficile trovare/una situazione che può danneggiare la mente”(Mellow my mind”).
“Bruce Berry era un lavoratore/caricava lui il furgone Econoline/aveva una scintilla negli occhi/ma la vita l’aveva in mano/Bè, a notte fonda quando la gente se n’era andata/raccoglieva la mia chitarra/e cantava una canzone con voce tremante/ma vera quanto era lungo il giorno/……..se non l’avete mai sentito cantare/credo che non lo sentirete tanto presto/perché, gente, lasciate che ve lo dica/mi è venuto un brivido alla schiena/quando ho alzato il telefono/e ho sentito che era morto di eroina/Questa è la notte….” (Tonight’s the night).
Un artista capace di dischi eccezionali (Zuma, Harvest, After the gold rush, Rust never sleeps ) e di tonfi clamorosi (Hawkes and doves, Re-actor, Trans, Landing on water), di trionfi e di cadute, di dischi imperfetti e spiazzanti, ma anche di stare sul palco da quarant’anni senza per questo sembrare patetico, di mettere sempre tutto sé stesso in ogni disco, bello o brutto che sia, e di regalarci capolavori senza tempo dal profondo dell’anima.
(Lillo Lydon, 5/3/2007)
Registrato quasi interamente in presa diretta in un garage, fa parte della “doom trilogy” (con “Time fades away” e “On the beach”) che seguì il clamoroso successo di “Harvest”.
Sconvolto per la morte del chitarrista Danny Whitten e del roadie Bruce Berry per overdose, il divorzio e la scoperta della malattia del figlio, Young inizia la caduta libera nel pozzo in fondo al quale lo aspettano i suoi demoni. Disco pieno di disperazione e alcool, in cui spesso canta ubriaco, stonato, canzoni oscure e ruvide, testi di droga e di morte, ma che ci offrono cò che ogni artista ha di più prezioso: i propri dubbi, le proprie debolezze, le imperfezioni, la propria anima sconvolta.
A volte la grande musica non deve necessariamente essere bella musica, qui la voce è sgraziata, sembra quasi sul punto di spezzarsi, il suono nervoso, nessuna post-produzione o arrangiamento eppure pochi dischi al mondo riescono così tanto a commuovere, a toccare le corde più profonde perché pochi si sono spinti così al limite da aprire la propria anima e metterla su un disco.Un disco necessario, in bianco e nero come la copertina, l’autobiografia di un momento, lo specchiarsi nudo e vedersi circondato da spettri e fantasmi, ma sopratutto un disco sincero, straziante, commovente.
“Sono stato per la strada e sono tornato/fischiettando solitario lungo i binari della ferrovia/non è rimasto nulla di ciò che provavo/c’è qualcosa che è difficile trovare/una situazione che può danneggiare la mente”(Mellow my mind”).
“Bruce Berry era un lavoratore/caricava lui il furgone Econoline/aveva una scintilla negli occhi/ma la vita l’aveva in mano/Bè, a notte fonda quando la gente se n’era andata/raccoglieva la mia chitarra/e cantava una canzone con voce tremante/ma vera quanto era lungo il giorno/……..se non l’avete mai sentito cantare/credo che non lo sentirete tanto presto/perché, gente, lasciate che ve lo dica/mi è venuto un brivido alla schiena/quando ho alzato il telefono/e ho sentito che era morto di eroina/Questa è la notte….” (Tonight’s the night).
Un artista capace di dischi eccezionali (Zuma, Harvest, After the gold rush, Rust never sleeps ) e di tonfi clamorosi (Hawkes and doves, Re-actor, Trans, Landing on water), di trionfi e di cadute, di dischi imperfetti e spiazzanti, ma anche di stare sul palco da quarant’anni senza per questo sembrare patetico, di mettere sempre tutto sé stesso in ogni disco, bello o brutto che sia, e di regalarci capolavori senza tempo dal profondo dell’anima.
(Lillo Lydon, 5/3/2007)
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