"...una stagione dell'esistenza, un patrimonio collettivo da ripercorrere, un ricordo depositato"


questo è un luogo dove si raccolgono le sensazioni suscitate dai dischi, dalla loro ricerca, al loro possesso, ai ricordi che evocano

non vogliamo parlare dei dischi, ma delle emozioni che ci hanno dato

martedì 6 marzo 2007

NEIL YOUNG

Tonight's the Night (1975, Reprise)
Il fondo del pozzo, la discesa all’inferno.
Registrato quasi interamente in presa diretta in un garage, fa parte della “doom trilogy” (con “Time fades away” e “On the beach”) che seguì il clamoroso successo di “Harvest”.
Sconvolto per la morte del chitarrista Danny Whitten e del roadie Bruce Berry per overdose, il divorzio e la scoperta della malattia del figlio, Young inizia la caduta libera nel pozzo in fondo al quale lo aspettano i suoi demoni. Disco pieno di disperazione e alcool, in cui spesso canta ubriaco, stonato, canzoni oscure e ruvide, testi di droga e di morte, ma che ci offrono cò che ogni artista ha di più prezioso: i propri dubbi, le proprie debolezze, le imperfezioni, la propria anima sconvolta.
A volte la grande musica non deve necessariamente essere bella musica, qui la voce è sgraziata, sembra quasi sul punto di spezzarsi, il suono nervoso, nessuna post-produzione o arrangiamento eppure pochi dischi al mondo riescono così tanto a commuovere, a toccare le corde più profonde perché pochi si sono spinti così al limite da aprire la propria anima e metterla su un disco.Un disco necessario, in bianco e nero come la copertina, l’autobiografia di un momento, lo specchiarsi nudo e vedersi circondato da spettri e fantasmi, ma sopratutto un disco sincero, straziante, commovente.
“Sono stato per la strada e sono tornato/fischiettando solitario lungo i binari della ferrovia/non è rimasto nulla di ciò che provavo/c’è qualcosa che è difficile trovare/una situazione che può danneggiare la mente”(Mellow my mind”).
“Bruce Berry era un lavoratore/caricava lui il furgone Econoline/aveva una scintilla negli occhi/ma la vita l’aveva in mano/Bè, a notte fonda quando la gente se n’era andata/raccoglieva la mia chitarra/e cantava una canzone con voce tremante/ma vera quanto era lungo il giorno/……..se non l’avete mai sentito cantare/credo che non lo sentirete tanto presto/perché, gente, lasciate che ve lo dica/mi è venuto un brivido alla schiena/quando ho alzato il telefono/e ho sentito che era morto di eroina/Questa è la notte….” (Tonight’s the night).
Un artista capace di dischi eccezionali (Zuma, Harvest, After the gold rush, Rust never sleeps ) e di tonfi clamorosi (Hawkes and doves, Re-actor, Trans, Landing on water), di trionfi e di cadute, di dischi imperfetti e spiazzanti, ma anche di stare sul palco da quarant’anni senza per questo sembrare patetico, di mettere sempre tutto sé stesso in ogni disco, bello o brutto che sia, e di regalarci capolavori senza tempo dal profondo dell’anima.
(Lillo Lydon, 5/3/2007)


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