
Una faccia stralunata, consumata. La pelle è un'arancia dura come un sasso, brunita e raggrinzita dall'arroganza di un sole carogna guardato sorgere troppe volte senza cautele.
In gola un bolo di mastice, tignoso quanto una nuvola di zanzare afose. Dell'aria è bruciata anche l'idea.Realtà al collasso, sui bordi è vapore di benzina. Fumo di bitume fuso nero.
Pensieri asfissiati, convulsioni, visioni febbricitanti; associazioni mentali ipercinetiche e contraddittorie, oleose nel loro fiondarsi cieco le une contro le altre ma senza cozzare. Liquefatti ogni schema, sistematizzazione, ordine razionale, ogni abbozzo di sequenzialità coerente delle azioni, guidate ora da un sobbollire nervoso casuale.
Lacrime partorite asciutte. Labbra spaccate che balbettano riarse impastandolo il nome di una donna. Di un bambino. E binari arroventati, polvere, pietre di un biancore accecante: questo l'alveo per il caos interiore di uno spettro dalle sembianze umane che stentatamente si trascina, barcolla, stritolato da improvvisi tizzoni emotivi e sentimenti in anossia.
Il collo di bottiglia di una chitarra slide prosciuga ogni suono superfluo, sottrae materia e di quel che resta "tira" ogni nota fino a spezzarne le ossa, mettendola forzosamente a fuoco, spremendone tutto il potenziale di suggestione: la risultante è questo ambiente torrido e rarefatto, in cui i picchi e le seguenti cadute di note dal midollo succhiato peggio di un ossobuco danno il senso di una ricerca allo stremo ma non arresa, di un'ossessione non placata: il lamento di un cuore senza pace, crivellato dal suo amore perduto.
Tregua: la toccante "Canciòn mixteca", malinconia d'amore, saudade di ogni Sud del mondo, splendente di tradizioni antiche e saggezza popolare.
Il resto sono cactus e cespugli che rotolano lungo anime desertificate fino alla tensione del dialogo che chiude il disco.
E la gola, per tanta esposta fragilità della condizione umana.
(LaRoma)
In gola un bolo di mastice, tignoso quanto una nuvola di zanzare afose. Dell'aria è bruciata anche l'idea.Realtà al collasso, sui bordi è vapore di benzina. Fumo di bitume fuso nero.
Pensieri asfissiati, convulsioni, visioni febbricitanti; associazioni mentali ipercinetiche e contraddittorie, oleose nel loro fiondarsi cieco le une contro le altre ma senza cozzare. Liquefatti ogni schema, sistematizzazione, ordine razionale, ogni abbozzo di sequenzialità coerente delle azioni, guidate ora da un sobbollire nervoso casuale.
Lacrime partorite asciutte. Labbra spaccate che balbettano riarse impastandolo il nome di una donna. Di un bambino. E binari arroventati, polvere, pietre di un biancore accecante: questo l'alveo per il caos interiore di uno spettro dalle sembianze umane che stentatamente si trascina, barcolla, stritolato da improvvisi tizzoni emotivi e sentimenti in anossia.
Il collo di bottiglia di una chitarra slide prosciuga ogni suono superfluo, sottrae materia e di quel che resta "tira" ogni nota fino a spezzarne le ossa, mettendola forzosamente a fuoco, spremendone tutto il potenziale di suggestione: la risultante è questo ambiente torrido e rarefatto, in cui i picchi e le seguenti cadute di note dal midollo succhiato peggio di un ossobuco danno il senso di una ricerca allo stremo ma non arresa, di un'ossessione non placata: il lamento di un cuore senza pace, crivellato dal suo amore perduto.
Tregua: la toccante "Canciòn mixteca", malinconia d'amore, saudade di ogni Sud del mondo, splendente di tradizioni antiche e saggezza popolare.
Il resto sono cactus e cespugli che rotolano lungo anime desertificate fino alla tensione del dialogo che chiude il disco.
E la gola, per tanta esposta fragilità della condizione umana.
(LaRoma)
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