
Dalla tecnologia dei Lamb al folk primordiale è sempre la voce di Lou Rhodes a farla da padrona, qui in ballate a metà tra Fairport Convention e Joni Mitchell.
Spogliata dai loop elettronici e dai breakbeat di Andy Barlow, emerge il talento compositivo dell’artista che ci regala uno straordinario disco d’esordio in cui la sua anima folk esce allo scoperto: strumentazione scarna, limitata all’essenziale, chitarra archi e percussioni, e la voce, ora cantata ora sussurrata, nella quale convivono grazia e forza.
Canzoni che hanno il potere di avvolgerti piano piano, in un clima surreale, un autunno nelle campagne inglesi, di non immediata presa sull’ascoltatore poiché si tratta di un disco molto intimo e malinconico, ma anche passionale e soprattutto sincero.
Niente virtuosismi strumentali e nemmeno magie da studio, ma piccole gemme da ascoltare davanti a un camino, con un brandy in mano e gli occhi chiusi…ma il cuore aperto.
Spogliata dai loop elettronici e dai breakbeat di Andy Barlow, emerge il talento compositivo dell’artista che ci regala uno straordinario disco d’esordio in cui la sua anima folk esce allo scoperto: strumentazione scarna, limitata all’essenziale, chitarra archi e percussioni, e la voce, ora cantata ora sussurrata, nella quale convivono grazia e forza.
Canzoni che hanno il potere di avvolgerti piano piano, in un clima surreale, un autunno nelle campagne inglesi, di non immediata presa sull’ascoltatore poiché si tratta di un disco molto intimo e malinconico, ma anche passionale e soprattutto sincero.
Niente virtuosismi strumentali e nemmeno magie da studio, ma piccole gemme da ascoltare davanti a un camino, con un brandy in mano e gli occhi chiusi…ma il cuore aperto.
(Lillo Lydon)
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